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Gli irresistibili cavalieri del male

A cura di Domenico Rizzi

La banda di Jesse James
È nota a tutti la vicenda, largamente romanzata da letteratura e cinema, di Robin Hood, l’imprendibile bandito della foresta di Sherwood che toglieva ai ricchi per donare ai poveri, inutilmente contrastato dagli uomini del bieco sceriffo di Nottingham. Probabilmente si trattava di Robin di Loxley, un nobile decaduto della contea di Yorkshire, oppure, più verosimilmente Hood derivò dalla fusione di varie figure del XIII secolo che la fantasia popolare mise insieme per elaborare un mitico personaggio che si opponeva alla prepotenza dei signori.
Certo è che il suo esempio venne imitato nel tempo in diversi Paesi, diventando spesso il simbolo della ribellione allo sfruttamento e ai soprusi commessi dal potere. Diversamente non si spiegherebbe perchè personaggi come l’americano Jesse James, il messicano Pancho Villa, gli italiani Stefano Pelloni e Carmine Crocco e l’australiano Ned Kelly ottenessero tanto appoggio dalla popolazione, che li protesse con la più assoluta omertà, ospitandoli talvolta nelle proprie case e favorendone la fuga quando erano braccati.
Le loro gesta nacquero e si svilupparono in contesti abbastanza simili, di gente prostrata dalla fame e dalle ingiustizie, perseguitata da speculatori avidi e tormentata da poliziotti che poco avevano da invidiare, quanto ai metodi usati, alla delinquenza comune. Non a caso anche i rocamboleschi assalti alle banche commessi da Bonnie e Clyde durante la Grande Depressione, ottennero l’appoggio morale di parecchie persone, messe sul lastrico o defraudate da un sistema economico-finanziario che aveva determinato il crollo di una nazione.
Le analogie fra i personaggi elencati sono numerose. La lotta di Carmine Crocco prima contro i Borbonici e successivamente contro le truppe del Regno d’Italia ha molti punti di contatto con quella di Jesse e Frank James e dei fratelli Younger. Entrambe le bande erano sorte dalle ingiustizie subite da parte di uomini altolocati o da loschi affaristi che depredavano i contadini. Le loro imprese furono la naturale prosecuzione di conflitti perduti e di speranze deluse: i James reagirono alla dilagante azione dei “carpetbaggers” – gli accaparratori di terre a prezzi stracciati, che usavano anche l’arma del ricatto con i proprietari terrieri rovinati dalla guerra – così come Crocco lo fece nei riguardi dei nuovi padroni piemontesi. Quando le loro armi abbatterono spietatamente i simboli dell’oppressione – che si trattasse di sceriffi, agenti federali o bersaglieri di Vittorio Emanuele II – gran parte del popolo affamato ed umiliato abbracciò e sostenne la loro causa. Le minacce di condanna a morte, di carcere duro e di tremende punizioni lanciate dalle autorità impotenti ad arginare il fenomeno non ebbero alcun effetto per molto tempo, perché – come sosteneva Crocco – “la giustizia dei potenti non è giustizia” e il popolo non collaborava con i tiranni.


Un classico assalto al treno

Per riuscire ad averne ragione fu necessario ricorrere alla delazione: Jesse James venne ucciso, mentre si nascondeva sotto falsa identità a Saint Joseph nel Missouri, dal sicario Bob Young Ford, che lo freddò nella maniera più vigliacca possibile. Carmine Crocco, “generale” della rivolta antisabauda in Basilicata, fu tradito – allo stesso modo di Ned Kelly – dal suo luogotenente e compagno di lotta Giuseppe Caruso, che ne rivelò il nascondiglio al generale Emilio Pallavicini, l’ufficiale che aveva fermato Garibaldi sull’Aspromonte.
Il brigante di Rionero in Vulture, il cui contingente di 2.000 uomini aveva goduto dell’appoggio di migliaia di diseredati, fu arrestato nell’estate 1864 e terminò i suoi giorni nel 1905 nel penitenziario di Portoferraio. La sentenza di condanna a morte pronunciata in un primo tempo dal tribunale di Potenza era stata prudentemente commutata nel carcere a vita, perchè la sua esecuzione avrebbe potuto farne un martire.
Ciò può spiegare il motivo per cui Frank James, costituitosi dopo la morte del fratello nel 1882, trascorse in prigione soltanto pochi mesi, nonostante pendessero sulla sua testa le accuse di avere partecipato a 27 rapine e 11 omicidi, reati che l’accusa non riuscì a provare in quanto i possibili testimoni non vollero schierarsi contro il bandito.
Come nel caso di Crocco, autore nel Mezzogiorno di cruente battaglie e massacri prima e durante gli anni dell’Italia unificata – la sua cattura mise in moto trattative segrete fra i governi francese, pontificio e italiano per deciderne la sorte nella maniera più conveniente – Frank trovò innumerevoli difensori in una certa frangia del Partito Democratico, fra gli ex Confederati e la gente del suo Stato. Molte persone che avevano combattuto per il Sud lo ritennero un eroe al pari di Jesse. Questa sorta di culto popolare fu probabilmente all’origine della scarcerazione anticipata di Cole Younger, il vero braccio destro dei James, condannato praticamente al carcere a vita dopo la fallita rapina di Northfield nel 1876. Cole uscì di prigione dopo 25 anni, creò uno spettacolo simile al Wild West Show di Buffalo Bill insieme a Frank James e raccolse, negli ultimi anni della sua vita, quello che restava di una popolarità mai del tutto tramontata. Era nato un mito che la documentazione storica avrebbe saputo soltanto scalfire e neppure il revisionismo sarebbe riuscito a distruggere.

James-Younger Gang
Eppure la matrice comune di tutti questi personaggi era la loro chiara propensione verso il crimine.
E’ vero che inizialmente essi commisero dei delitti per rimediare a ingiustizie o torti subiti – Billy il Kid uccise a 12 anni un uomo che aveva insultato sua madre; Pancho Villa, quando ne aveva 16, ferì il padrone della sua hacienda perché si era approfittato della sorella; Crocco, ancora molto giovane, reagì al danno arrecato da una famiglia nobile alla madre incinta e più tardi alla sorella Rosina – ma è innegabile che in seguito non riuscirono a togliersi il “vizio di uccidere”.
Le loro esistenze presero strade differenti solo perché furono le diverse circostanze a determinarne l’evoluzione. Il Kid, diventato “El Ciquito” per i Messicani disprezzati dagli “Anglos”, non trovò un’altra ragione giusta per cui battersi dopo la fine della Guerra della Contea di Lincoln e la vendetta compiuta contro gli assassini del suo ex padrone John Henry Tunstall. Jesse James, svanito il sogno di resuscitare la Confederazione, si trasformò in un bandito da strada, assaltando banche, treni e diligenze.
Crocco e Pancho Villa ebbero a disposizione uno scenario assai più ampio in cui far rifulgere le proprie gesta patriottiche. Il primo si ritagliò un ruolo importante nella rivoluzione, schierandosi con l’idealista riformatore Francisco Madero; il secondo, deluso dai Piemontesi – così continuarono ad essere chiamati nel Mezzogiorno i rappresentanti del nuovo regno – dopo avere combattuto Francesco II, diede inizio ad un’aspra guerriglia che mise a ferro e fuoco decine di villaggi nella improbabile illusione di rimettere sul trono, con l’aiuto degli Spagnoli, il re borbone esiliato. La povera gente delle campagne, i contadini, gli operai, furono lungamente dalla sua parte, così come i “peones” messicani parteggiarono svisceratamente per Villa, “El General del Norte”. Esaminando attentamente le loro biografie, si può concludere che, se da un lato non furono privi di qualche aspirazione ideale, fondata su un elementare senso di giustizia violato da chi governava la società di allora, dall’altro erano soggetti fortemente tentati dalla trasgressione delle regole, facili alla rissa come all’omicidio.

Pancho Villa si era dato al furto e alle rapine dopo la fuga dall’hacienda in cui era cresciuto, ma anche quando venne indotto a combattere per un degno scopo, si mantenne sempre un elemento ingovernabile dal temperamento un po’ selvaggio. L’attitudine al brigantaggio rimase una sua caratteristica anche quando indossò l’uniforme con i fregi di generale di brigata, grado di cui andava molto fiero. Secondo uno dei tanti aneddoti che si raccontano di lui, ad un prete che gli rammentava la sua fede cattolica, ammonendolo per l’abitudine alla poligamia – sembra che Villa avesse contratto 18 matrimoni, ma coltivato relazioni con altre 30 donne, mettendo al mondo più di 100 figli – egli rispose fieramente: “A me questo è permesso, perché io sono un generale!”. Ai poveri contadini delle “haciendas” Pancho piaceva così, alle persone di sesso femminile pure. Nel colpo di mano compiuto nella cittadina di Columbus, New Mexico, il 9 marzo 1916 – presunta ritorsione per l’appoggio concesso dagli Stati Uniti al dittatore Venustiano Carranza – furono uccisi 7 militari e 11 civili americani e l’abitato venne dato alle fiamme.


Pancho Villa e i suoi sodali

Qualcuno insinuò che Villa avesse fatto tutto per causa di una donna. E’ indiscutibile che i suoi metodi fossero barbari, somigliando a quelli che gli uomini di Crocco impiegarono nel Mezzogiorno d’Italia.
Perché dunque, nonostante l’evidenza, il popolo amava simili personaggi?
La ragione è facilmente intuibile: chiunque si opponesse all’autorità costituita, responsabile di avere prodotto fame, miseria e disperazione, veniva considerato un eroe e tanto il Messico quanto il Mezzogiorno d’Italia si trovavano nelle condizioni descritte. Anche il Missouri contadino lo era, durante e dopo la guerra di secessione, un background che facilitò enormemente l’ascesa dei fratelli James e dei loro accoliti, schierati contro gli sfruttatori del Nord vincitore.
Il discorso dei “cavalieri del male” e dell’innegabile fascino da essi esercitato sulle masse si può allargare estendendo l’indagine a personaggi come Stefano Pelloni, il “Passatore” nemico dei Papalini e al bandito australiano Ned Kelly, protagonisti di un western per molti aspetti simile a quello della tradizione.
Pelloni, nativo di una frazione di Bagnacavallo nel 1824, si mise al di fuori della legge ancora giovanissimo, ricevendo una condanna a 4 anni di lavori forzati per evasione dal carcere, furto e detenzione di armi da fuoco. Il Passatore – che il poeta Giovanni Pascoli trasformò nel “Passator cortese, re della strada, re della foresta” – non fu mai un vero capobanda, ma piuttosto una personalità di spicco fra un gruppo di banditi, esattamente come lo sarebbe stato William Bonney (Billy il Kid) in America alcuni anni dopo. Al pari del Kid e di Jesse James, compiva a volte atti di generosità che gli accattivavano la simpatia popolare, come la distribuzione di una parte del bottino a persone bisognose o il vendicare soprusi da esse subiti. Ciò non toglie che Pelloni fu in tutto e per tutto un autentico delinquente, che in diverse occasioni agì senza il minimo senso di pietà, sfogando il proprio sadismo sui propri nemici, torturati fino alla morte.
Billy The Kid
Tuttavia la sua figura divenne leggendaria quanto folkloristica, tant’è vero che egli fu il soggetto preferito di molte ballate e in alcuni ristoranti e alberghi della Romagna si usa ancora oggi servire la “cena del Passatore” quasi a voler ricordare un personaggio più amato che condannato. Tra il 1849 e il 1851 il bandito espugnò alcuni paesi della regione – così come farà Crocco in Basilicata – distruggendo e conquistando Bagnara di Romagna, Castel Guelfo, Brisighella e Forlimpopoli. L’insofferenza dei contadini verso lo Stato della Chiesa in cui le loro terre erano incorporate lo eresse ad eroe in quanto persecutore delle truppe pontificie, che tentarono invano di catturarlo per affidarlo al più celebre boia della storia, quel Giovan Battista Bugatti da Senigallia, che tutti chiamavano Mastro Titta, esecutore di oltre 500 condanne capitali dal 1796 al 1864. Il “Pasadòr”, tradito da un compagno di scelleratezze – singolare analogia con le vicende di Jesse James, Carmine Crocco e dello stesso Kelly – venne ucciso dai gendarmi del Papa in un casolare presso Russi di Romagna, il 23 marzo 1851. Aveva 26 anni. La sua giovane età contribuì alla nascita del mito, come nel caso del trentacinquenne James e del ventunenne Billy il Kid. Molto più saggiamente le autorità italiane, dopo una lunga riflessione, avevano preferito che Carmine Crocco – meritevole di condanna a morte per i suoi innumerevoli delitti – terminasse invece i suoi giorni in carcere. Infatti, quando morì a 75 anni nella prigione dell’isola d’Elba il 18 giugno 1905, la sua figura era ormai avvolta dall’oblio e soltanto le appassionate ricerche di alcuni studiosi del Risorgimento hanno restituito un alone di leggenda alle sue efferate imprese.
Edward “Ned” Kelly si può invece ascrivere alla schiera dei “belli e dannati” che riuscirono a tenere in scacco le forze dell’ordine, diventando per molti il Jesse James dell’Australia sudorientale, in un ambiente che ricordava da vicino le turbolente città del West americano.


La cattura di Ned Kelly

Anche la sua carriera di fuorilegge ebbe inizio con la ribellione all’arroganza della corrotta polizia di Victoria. Figlio di un deportato irlandese nella colonia penale, uccise tre agenti e si diede alla macchia insieme al fratello Dan e agli amici Joe Byrne e Steve Hart, specializzandosi in furti e rapine. Nel 1878 la sua banda assaltò e derubò le banche di Euroa, Victoria e Jerilderie, inducendo le autorità a porre su di essa una taglia di 8.000 sterline. Nel 1880 Kelly fu tradito da un amico di Byrne, che mise la polizia sulle sua tracce, sorprendendo il gruppo nel villaggio di Glenrowan e assediandolo in una taverna il 28 giugno.
Al termine di un’accanita sparatoria, durante la quale i membri della gang si esposero al fuoco avversario indossando come i cavalieri medievali corazze ed elmi integrali di ferro a prova di proiettile, vi fu l’inevitabile conclusione. Byrne morì in seguito alle ferite riportate, Dan Kelly e Hart preferirono suicidarsi, Ned, colpito alle gambe e ad un fianco – punti che l’armatura lasciava scoperti – venne catturato ancora vivo. In un paio d’anni aveva ucciso, insieme ai suoi gregari, 6 persone, ferendone altre 4.
La sua vita venne stroncata dal boia l’11 novembre 1880 mediante impiccagione, in ottemperanza alla decisione del giudice Redmond Barry. Prima di morire, a 25 anni, Kelly pronunciò soltanto una frase rimasta celebre: “Così è la vita!”. Per una strana combinazione, il giudice Barry morì appena 12 giorni dopo a causa di un ascesso, ma i superstiziosi ritennero che si trattasse della giusta punizione inflittagli dal Cielo, perché le colpe di Ned erano state esagerate e agli inizi la sua ribellione era parsa sacrosanta. Molti Irlandesi – da sempre in contrasto con gli Inglesi – lo considerarono un martire che aveva osato sfidare la corona britannica. Venne anche messa in giro la voce che Kelly avesse rapinato le banche per procurarsi il capitale necessario a fondare una repubblica indipendente nella parte nordorientale dello Stato di Victoria. Alcuni testimoni raccontarono addirittura che, al momento della cattura, la polizia avesse trovato nelle sue tasche una copia della dichiarazione costitutiva del nuovo Stato.
Meno di un anno dopo la storia si ripetè, allorchè Patrick Floyd Garrett – da alcuni soprannominato il “Giuda della Frontiera” dopo quell’episodio – uccise a tradimento il suo vecchio amico Billy il Kid nella calda notte del 14 luglio 1881 a Fort Sumner, nel New Mexico. Una donna – Celsa Guiterrez, cognata di Garrett – insultò pesantemente lo sceriffo e i Messicani commentarono l’evento come un proditorio assassinio commesso dai “gringos”. Circa otto mesi più tardi, il 3 aprile 1882, Robert Ford e suo fratello Charlie, membri della banda di Jesse James e quel giorno ospiti del bandito a pranzo, decisero la sorte del famigerato ribelle, sparandogli alle spalle mentre aggiustava un quadro appeso alla parete. Bob Ford, autore del gesto, acquistò subito la triste notorietà dello “sporco codardo che aveva ucciso proditoriamente Jesse”.
Alcuni decenni dopo, un complotto tolse di mezzo anche il quarantacinquenne leader rivoluzionario Doroteo Arango Aràmbula, che tutti chiamavano ormai “El General Pancho Villa”. Di ritorno da un battesimo il 20 luglio 1923, mentre viaggiava in auto con altre tre persone, fu assalito a Parral, nello Stato di Chihuahua, da alcuni sicari che crivellarono di colpi lui e la sua scorta. Gli autori dell’assassinio furono individuati e condannati, ma rimessi in libertà dopo qualche tempo. La numerosissima folla accorsa ai suoi funerali – erano presenti anche tre delle donne che egli aveva sposato – lo ricordò come un uomo coraggioso, onesto e leale, che aveva lottato per restituire dignità alla misera esistenza dei “peones”. Scompariva un altro protagonista e nasceva un nuovo mito.

Elizabeth Bonnie Parker e Clyde Chestnut Barrow – Bonnie e Clyde – rappresentano anch’essi gli anelli di una lunga catena di “maledetti” che non tutti disprezzarono o condannarono per le loro azioni.


Bonnie e Clyde

L’epoca in cui compirono le loro scorribande nel Texas, in Oklahoma e in altri Stati dell’Unione, era ormai lontana dal teatro delle azioni di Jesse James, Ned Kelly e Billy il Kid e quasi lontanissima dai tempi del Passatore e di Carmine Crocco. Non vi erano più cause per cui lottare che potessero conferire una parvenza di idealismo alle loro imprese criminali, né nemici da combattere sul campo. Eppure, nel 1933-34 l’infelicità della “gens americana”, cresciuta all’insegna del grande sogno da realizzare, era diffusa e palpabile. Strozzini e banche avevano gettato sul lastrico migliaia di agricoltori, di allevatori di bestiame, di commercianti, di persone comuni che vivevano di lavoro dipendente. Erano gli effetti della grande crisi scaturita dal crollo della Borsa di Wall Street nel 1929. Dovunque si erano create miseria e depressione, le “hooverville” – specie di baraccopoli che derivano il loro nome da Edgar J. Hoover, il presidente in carica al momento del disastro – spuntavano dovunque ai margini delle città, moltissime persone si erano suicidate, altre emigravano verso l’estremo occidente seguendo il tracciato della Route 66, il cammino dell’ultima speranza.
In un simile contesto, due giovani texani di bell’aspetto impugnarono le pistole per mettersi a rapinare gli istituti di credito. La gente rimase incredula, ma non mancarono quelli che guardavano con simpatia la strana coppia di malfattori, perché colpiva chi aveva continuato a prosperare nonostante le difficoltà della gente. Era un sostegno debole dal punto di vista materiale, ma forte sotto l’aspetto psicologico: i paladini di Bonnie e Clyde rappresentavano l’accusa ad un sistema che prometteva ricchezza e benessere a tutti ed aveva invece elargito povertà e prostrazione. Naturale che anche l’uccisione dei due banditi, avvenuta il 23 maggio 1934 in una località della Louisiana, incontrasse pareri discordi. La ferocia con cui gli agenti di polizia crivellarono i corpi dei due giovani – Clyde venne colpito da 17 proiettili, Bonnie da 26 – li fece apparire da certa stampa come dei martiri, mentre il cinema avrebbe dato risalto ad una singolare love story fra i due, intenerendo ancora di più i cuori della gente, perché al momento della morte Clyde aveva 25 anni e la sua compagna 24. Fu l’ennesimo, forse l’ultimo rigurgito di un banditismo romanticizzato che giustificazioni emotive ed opinabili tendevano a riabilitare.

La popolarità raggiunta ai loro tempi dagli “irresistibili cavalieri del male” induce a ritenere che forse riuscirono a vincere una battaglia contro la storia, entrando nell’immaginario collettivo al pari degli eroi.
Ma la storia non permette di dimenticare, fra le azioni positive che gli uomini possono avere compiuto, le loro tante malefatte e il bilancio finale di queste travagliate esistenze non può che risultare negativo, pur tenendo presente che la ragione non è mai completamente da una sola parte.