La paura corre nelle foreste

A cura di Gianni Albertoli

Quando i francesi entrarono nel Canada, la notizia del loro insediamento si sarebbe diffusa da tribù a tribù. Gli Algonkins erano stanziati lungo il corso del fiume “Outaouas” (Ottawa River), mentre gli Huron “vivevano nel loro antico paese” (“Huronia”). Questi ultimi, dopo essere stati in guerra con gli Irochesi, nel 1624 si sarebbero riappacificati con i loro nemici storici, molti gruppi Huron avrebbero allora iniziato a visitare gli insediamenti francesi per poi entrare in contatto con i missionari. Nel 1644 i francesi avrebbero promesso agli Huron di difenderli dagli attacchi degli Irochesi, ma questi assalirono di sorpresa un loro villaggio, lo distrussero e catturarono una trentina di prigionieri; l’attacco fu veemente e molti Huron fuggirono verso altre terre, alcuni gruppi si spinsero a ovest fin nell’Illinois, altri raggiunsero le colonie francesi sul San Lorenzo.
Intorno al 1650 anche i francesi dovettero evacuare parecchie postazioni, il terrore si sparse nel territorio e giunse fin nelle terre degli “Outaouas” (Ottawa) e dei loro alleati, stanziati a Sankinon, nella Thunder Bay, a Manitoaletz e a Michilimackinak. Nel territorio vi era la Huron Island, sita all’ingresso della “Bay of Puans” del Michigan Lake, ma allora conosciuta come “Pottawatomie Island” in quanto i suoi primi abitatori erano proprio i Potawatomi. In quel periodo, però, gli Ottawa, gli Algonquins di Sankinon e di Anse-au-Tonnerre, e i gruppi di Michilimackinak e Manitoaletz, trovarono rifugio nelle zone evacuate dai Potawatomi. E’ accertato, dopo un confronto storico tra le narrazioni del Nicolas Perrot e quelle del La Potherie, che dopo la permanenza sulla Huron Island, gli Algonquins e i loro alleati si ritirarono nel Michigan (Stato del Wisconsin e parte nord-occidentale del Michigan), per stabilirsi presso gli insediamenti dei “Pouteouatamis”, dove i rifugiati vennero accolti amichevolmente dai Potawatomi, la cui prima migrazione dovrebbe risalire agli anni intorno al 1636, infatti, nel periodo 1637-38 erano stabiliti permanentemente “nelle terre dei Puans” (Winnebago). Nelle vicinanze delle antiche terre degli Huron vivevano gli Alimibegon Nepigon e altri gruppi stanziati lungo il corso del fiume Ottawa, nelle zone di Three Rivers. Gli Irochesi, “imbaldanziti dalle loro vittorie”, e, “non trovando più ossa da rosicchiare”, attaccarono ripetutamente gli Algonkin e, in alcuni casi anche i francesi, “prendendo molti prigionieri”.


Insediamenti nativi nella zona delle grandi foreste

I primi Rapporti di questi eventi, dice il Perrot, “vengono ampiamente descritti e, di conseguenza, preferisco non dilungarmi su questi fatti, mi limito ad una considerazione, dicendo le cose che le fonti hanno omesso e che ho attinto dalle labbra dei vecchi della tribù Ottawas”. L’anno dopo, nel 1653, gli Irochesi inviarono nel territorio l’ennesima spedizione di guerra, essa “contava 800 uomini e doveva attaccare gli Ottawas”. Gli Ottawa e i loro alleati, in particolare “gli Huron”, però, temevano da tempo un altro attacco, “avevano allora preso alcune precauzioni e gruppi di guerrieri furono inviati nel vecchio paese degli Huron”. I nemici vennero individuati e gli scouts si affrettarono a portare la notizia negli accampamenti della Huron Island, allora gli Ottawas si ritirarono velocemente a “Mechingan”, dove costruirono una postazione fortificata. Gli Irochesi si sarebbero trovati in difficoltà e dovettero rastrellare tutti i villaggi abbandonati nell’arco di due anni; gli Ottawa, dal canto loro, ebbero così “il tempo di raccogliere il grano prima dell’arrivo dei nemici”. Quando “i nemici avvistarono il forte, durante la mattinata, si resero conto che per loro era inespugnabile”. Gli Ottawa notarono che, “Nelle loro fila vi erano molti Huron che discendevano da prigionieri catturati dagli Iroquois quando la tribù venne distrutta e il loro paese invaso”; gli invasori “erano a corto di cibo in quanto trovarono ben poca selvaggina sulla strada da loro seguita”, allora, “gli Iroquois proposero la pace”. I termini di pace erano chiari, le due forze contendenti dovevano consegnare sei capi, o guerrieri, come ostaggi e poi, infine, gli Ottawa e gli Huron (Wyandot) fecero “regali di cibo agli Iroquois, scambiando con loro anche coperte e collari di porcellana. Gli Irochesi rimasero nel territorio parecchi giorni, “i guerrieri si riposarono, ma quando poterono entrare nel forte vennero ammessi solo pochi alla volta, e venivano sempre controllati dagli Ottawas posti sulle palizzate”. Gli Ottawas, prima della partenza degli Irochesi, dettero loro “una pagnotta di pane-grano, ma prepararono un veleno da mescolare con il pane”, però, una donna Huron, “che aveva un marito Iroquois conosceva il segreto e ha avvertito il figlio di non mangiare quel pane”. Gli Irochesi seppero allora del “vile tradimento”, gettarono un pezzo di pane ad un cane che morì “dopo averlo mangiato”; decisero allora di abbandonare il territorio e divisero le loro forze in due gruppi, uno dei quali sarebbe stato duramente sconfitto dai “Salteurs, Mississakis e dalla gente della tribù Otter”, ben “pochi Iroquois riuscirono a sfuggire al massacro”. L’altro gruppo sarebbe entrato nelle terre degli Illinois, ma anche questi erano ormai al limite della sopravvivenza fisica. Questo secondo gruppo, dopo essersi procurato approvvigionamenti alimentari, avrebbe avanzato verso sud-ovest fino “ad incontrare un piccolo villaggio degli Illinoet”, dove, “uccisero le donne e i bambini, ma anche le superstizioni che sono comuni a loro e a tutti gli altri selvaggi”, ma gli Irochesi “sono i più coraggiosi e arroganti di tutti quelli che ci circondano”.


Le nazioni indiane del nord

Dopo aver distrutto i villaggi degli Illinois, gli Irochesi vagarono probabilmente senza una rotta precisa, ma vennero intercettati e sconfitti duramente dagli stessi Illinois “riuniti in gran numero”, “pochissimi guerrieri sarebbero tornati nelle loro terre”. Questa sarebbe stata “la prima conoscenza degli Illinoet con gli Iroquois, l’incontro si sarebbe rivelato funesto, ma ben presto gli Illinoet si sarebbero vendicati”. L’anno dopo, nel 1656, gruppi di Ottawa raggiungevano Three Rivers, dove i francesi dettero loro parecchi missionari, fra i quali padre Mesnard, con cinque francesi, per gli Ottawa, e padre Garot per gli Huron. Padre Garot avrebbe poi perso la vita sotto i colpi di una spedizione di guerra irochese. Il missionario si era imbarcato con gli Huron sul “Lago delle Due Montagne” (“Lake of Two Mountains”) alla ricerca di una zona adatta per costruire una postazione. Trovatisi a grande distanza da un altro gruppo composto da “Outauas e Salteurs”, gli Huron non furono in grado di respingere il veemente attacco, vennero duramente sconfitti e molti prigionieri caddero nelle mani dei “Fleming Bastard”. Le notizie del Perrot sembrano essere errate, padre Mesnard avrebbe raggiunto gli Ottawa soltanto nel 1660, mentre padre “Garreau” (il “Garot” del Perrot), nel 1656, era accompagnato da padre Dreuillet e quest’ultimo, dopo la catastrofe del “Lago delle Due Montagne”, vedendosi “abbandonato dai selvaggi”, sarebbe ritornato indietro con alcuni francesi. Padre Garreau avrebbe comunque trovato la morte in battaglia, ucciso dalla “banda dei Fleming Bastard”, il cui capo “era figlio di un olandese e di una donna irochese”, e apparteneva alla tribù “Agniers”. Il “Lago delle Due Montagne” era formato da una espansione alluvionale fuori dal letto dell’Ottawa, nelle vicinanze della sua confluenza nel St. Lawrence. I “Fleming Bastard” avevano il corpo del missionario, che poi portarono a Montreal, “già fondata nel 1642”; quando gli indiani si presentarono gli venne chiesto il perché della “vergognosa uccisione”. Il “Fleming Bastard” (“Bastardo Fiammingo”) rispose che né lui, né il suo popolo, avevano sparato contro il missionario, disse poi che l’assassino era un francese fuggito da Montreal per unirsi ai suoi Irochesi, i quali intendevano “porre imboscate agli Outaouas” che stavano risalendo il corso del “River des Prairies”.


Un quadro con indiani Algonkin

Il francese venne poi consegnato alle autorità di Montreal, consegnato al Governatore, “venne colpito a morte per mancanza di un boia”. I “Fleming Bastard” avevano con loro parecchi prigionieri Huron, che “hanno torturato bruciandogli le dita e senza alcuna opposizione da parte di noi francesi… quando sono tornati al loro paese gli hanno poi risparmiato la vita. Gli Huron non potranno mai dimenticare il modo in cui li abbiamo abbandonati in balia dei loro nemici”. Il Nicholas Perrot continuava, “Essi ricorderanno per sempre quanto poco fecero i francesi per opporsi agli Iroquois quando questi, in tempi di pace (maggio 1656), portarono via gli Huron che abitavano la Orleans Island. Facendoli poi passare in canoa davanti a Quebec e Three Rivers, costringendoli a cantare al fine di aumentare le loro mortificazioni”. Da allora, “per vendetta gli Outaouas avrebbero cercato in ogni occasione di tradire i francesi, anche se fingono sempre di essere nostri amici devoti”. Dobbiamo notare che, tra le prime cronache di eventi della Nuova Francia, il Perrot è l’unico che dette la colpa ad un francese di aver ucciso padre Garreau; non possiamo escludere che i numerosi cronisti dell’epoca abbiano allora dimenticato appositamente questo disonorevole assassinio. Inoltre, abbiamo menzione di un “rinnegato francese” (Relazione datata 1656) che si sarebbe unito agli Irochesi e, per un curioso destino, venne tradito dai suoi nuovi amici e consegnato alle autorità di Quebec, dove venne giustiziato. Quando “tutti gli Outaouas furono dispersi verso i Grandi Laghi, i Salteurs e i Mississakis fuggirono verso nord, per poi raggiungere Kionconan e Keweenaw per mancanza di cibo”. Alla fine, rendendosi conto di non essere in condizione di poter fronteggiare le incursioni irochesi (i quali sapevano dove trovarli), gli Ottawa e gli Huron cercarono rifugio “nella regione del Micissypy”, che “ora è chiamata Louisianna”. Gli Ottawa risalirono il grande fiume per circa 12 leghe da “Ouisconching”, per poi raggiungere un altro fiume che è chiamato “Ayoes” in riferimento alla tribù Iowa; “seguirono il suo corso fino alla fonte per trovarvi due popoli che li ricevettero cordialmente”. Erano in una terra “priva di boschi e di sole praterie e pianure, dove bufali e altri animali si trovavano in abbondanza”; eppure, lasciarono queste terre e “ripercorsero la strada da cui erano venuti fino a giungere sulle rive del fiume Louisianna, per poi risalirlo”. Non fecero “molta strada” e gli Ottawa “si dispersero in varie direzioni per cacciare”, una delle loro bande avrebbe incontrato “gli indiani Scioux”, furono “catturati e portati ai loro villaggi”. I Sioux, che “non avevano grande conoscenza delle armi da fuoco e di altri strumenti che videro tra gli stranieri”, usavano ancora soltanto “coltelli e accette di pietra e di selce”, ma “speravano che questi nuovi stranieri avessero condiviso con loro quegli strumenti”. Dal canto loro, gli Ottawa e gli Huron si mostrarono amichevoli nei confronti dei Sioux, ma “non li considerarono di grande valore”; fu allora che gli Ottawa offrirono ai Sioux alcuni oggetti, soprattutto accette, coltelli e punteruoli, che poi divisero fra i vari villaggi della zona. Allora tutti i capi villaggio inviarono delegazioni per incontrare i nuovi venuti, “secondo il loro costume, piangevano ogni volta che incontravano un Outaouas, era questo un modo per manifestare la loro gioia”.
Gli Ottawa e gli Huron erano entrati in contatto i Sioux (Dacotahs), una potente nazione “numerosa e selvaggia”. I Sioux erano divisi in due gruppi, i sedentari orientali e i nomadi occidentali. I primi abitavano su entrambe le rive dell’alto corso del Mississippi, in una terra che il Perrot delimitava come “il confine occidentale della Nuova Francia” e che i vecchi Rapporti della Nuova Francia li designava sotto il nome di “Nadouessis” (“Nadouessiouek” o “Nadouessioux”).


Una tenda di Algonkin

I nomadi Sioux erano dispersi nelle “immense pianure” a ovest e a nord del Missouri, ed estendevano le loro incursioni, e le loro spedizioni di caccia, fino alle Montagne Rocciose. La tribù più vicina ai “Nadouessioux”, stando ad un Rapporto del 1660, prendeva il nome di “Poualaks”, un termine significante “guerrieri”. Il Perrot, nelle sue “Memories”, menziona soltanto i gruppi orientali della nazione – i “Nadouessioux” della Relazione -, e da quanto ricorda è abbastanza facile giudicare la loro grande superiorità, sia nelle qualità morali rispetto ai loro vicini orientali (Algonchini e Huron-Iroquois) che nelle loro attitudine di guerrieri molto coraggiosi e valenti. Dalle “Memories” si può dedurre che i Sioux erano “fedeli alle loro promesse, amici della pace e benevoli verso gli stranieri di cui avevano grande pietà”. I Sioux davano “grande importanza alla loro libertà”, “non praticavano alcuna tortura se non per la legge del taglione”, per loro era un dovere sacro e le “Relazioni della Nuova Francia” fanno alcuni riferimenti importanti per questi indiani, i quali coincidono perfettamente con quelli del Perrot. Comunque, queste testimonianze sembrano essere almeno sospette, in quanto i Sioux furono sempre nemici implacabili delle tribù “evangelizzate dai religiosi della Compagnia di Gesù”, ovvero dagli autori di quelle “Relazioni”. Una “Relazione” del 1670 ricordava che i Sioux sono “meno perfidi degli Irochesi” e che, “hanno una inviolabile fedeltà sulle promesse giurate, questa moderazione permetteva loro di attaccare soltanto dopo che erano stati assaliti”; inoltre, “in guerra hanno un generoso comportamento di molto superiore a quello degli Uroni e degli Algonchini”. Quando i Sioux “sono soddisfatti delle vittorie ottenute, spesso danno la libertà ai prigionieri catturati in battaglia”; queste affermazioni rappresentano sicuramente delle sorprese per i lettori abituati alle loro gesta e alle descrizioni degli storici moderni, dove appaiono sotto un aspetto sicuramente diverso.


Iroquois

I vili e crudeli Sioux delle fonti americane, “indiani perfidi e vendicativi”, sono ben lontani dalle descrizioni del Perrot e di altri autori della Nuova Francia. Come possono questi indiani trasformarsi in “perfidi e vendicativi”, perché i Sioux del XIX secolo non avevano nulla in comune con quelli del passato? Una domanda interessante, oserei dire, bisognava punirli per la loro crudeltà e, soprattutto, per “purificare le loro case che devono essere occupate”. In una “Relazione” del 1642 si diceva che, “I Scioux lavorano la terra alla maniera degli Uroni, ma essi non coltivano quasi nulla oltre al tabacco e ad un po’ di mais… I Scioux sono divisi tra loro da paludi e laghi, dove cresceva l’avena selvatica”. Da un’altra “Relazione”, del 1660, si diceva che il loro paese “ha pochi alberi e le loro logge, come quelle dei Poualak, non sono coperte di cortecce come quelle dei selvaggi del San Lorenzo”, i Sioux avevano “logge coperte di ottime pelli di alce e così abilmente cucite insieme che il freddo invernale non vi penetrava”, inoltre, “… alcuni di loro, i più industriosi, costruivano case di terra grassa e appiccicosa, proprio come lo rondini costruiscono i loro nidi”. Per i Sioux, “la poligamia era un grande onore e alcuni avevano anche sette o otto mogli”; in battaglia usavano quasi esclusivamente “l’arco e le frecce”, mentre la loro lingua “si differenzia notevolmente da quella degli Uroni e degli Algonchini”. Il Perrot continuava dicendo che, “Tutto ciò vale anche per i Poualak”, “tra queste due diverse divisioni una dissomiglianza è puramente casuale, i Nadouessioux vivevano in un territorio i cui limiti erano quasi fissi, mentre gli altri erano sempre in movimento”. Quello che sappiamo sui Sioux del XVII secolo è sicuramente limitato, quel che possiamo affermare con certezza è che queste genti erano piuttosto numerose, infatti, le varie “Relazioni” assegnavano ai “Nadouessioux” quaranta villaggi, almeno una trentina ai “Poualak” e altri trenta villaggi agli “Assini-Poualak”, senza dimenticare gli “Ayoes” (o “Aiouas”) che, “molto probabilmente appartenevano a queste genti”. Per quanto riguardava i Sioux orientali – o “Nadouessioux” -, le cifre indicate in alcune “Relazioni” possono essere considerate al di sotto dei numeri reali. Quando i Sioux ottennero dagli Ottawa e dagli Huron coltelli e punteruoli di metallo, “alzarono gli occhi al cielo, benedicendolo per aver condotto al loro paese questi popoli in grado di fornire loro grande aiuto”.


Un indiano Chippewa

Gli “Outaouas spararono alcuni colpi di fucile e i Scioux ne furono terrorizzati immaginando che fosse il tuono e il fulmine”, così gli Ottawa e gli Huron “potevano sterminare chiunque”; i Sioux “mostrarono sottomissione estrema e toccavano con misericordia i nuovi arrivati, ma gli Outaouas li stimavano ben poco”. Poco dopo i nuovi venuti decisero di stabilire il loro insediamento “sull’isola chiamata Pelee”, si stanziarono in pace e “spesso ricevettero le visite dei Scioux”. L’isola era completamente priva di alberi e per questo motivo venne chiamata “isola calva” dal Perrot e dal Charlevoix; la sua posizione era proprio sul limite superiore del Lake Pepin (Minnesota), in una zona in cui – come diceva il Charlevoix – “i francesi del Canada hanno spesso posto il centro dei loro scambi commerciali in queste regioni occidentali”. Qualche tempo dopo alcuni Sioux cominciarono ad insospettirsi, “non sapevano cosa fosse successo, ma trovarono alcuni cadaveri le cui teste erano state mozzate”, ritornando ai loro villaggi per dare la triste notizia, “i Scioux incontrarono lungo la strada alcuni Uroni e li catturarono portandoli al villaggio” ma, “quando giunsero a casa i capi liberarono i prigionieri e li rimandarono dalla loro gente”. Gli Huron, “così temerari da immaginare che i Scioux erano impossibilitati a resistere senza le armi da fuoco e di ferro, cospirarono con gli Outaouas per intraprendere una guerra contro di loro, proponendosi di guidare i Scioux fuori dal loro paese in modo di occupare il loro territorio”. Gli Ottawa accettarono la proposta, le due tribù unirono le loro forze e “marciarono contro i Scioux”, “essi credevano che al loro apparire i Scioux sarebbero fuggiti”, ma questi sostennero il loro attacco e li respinsero, “e se non si fossero ritirati sarebbero stati del tutto distrutti dal gran numero di uomini che giungevano da altri villaggi in loro aiuto”. Gli assalitori vennero inseguiti fino al loro insediamento, dove “vi era una miserabile fortezza”, allora “i Scioux decisero di ritirarsi non avendo il coraggio di assaltarla”.


Sulle canoe nei Grandi Laghi

Comunque, le continue incursioni dei Sioux avrebbero costretto gli Ottawa e gli Huron ad evacuare il territorio. Dal canto loro i Sioux, visto che i loro nemici erano fuggiti, non operarono alcuna azione di guerra, inoltre, nel 1653 – come diceva una “Relazione” del 1654 – inviarono un gruppo commerciale a Montreal e Three Rivers. Nel 1657, stando ad una “Relazione” del 1658, gli Huron si spinsero a ovest verso il “Mechigan” del Perrot (la parte occidentale del Michigan e il Wisconsin), risiedendo sulla “baia dei Puans, tra i Pouteouatamis”, dove avevano respinto un attacco degli Irochesi, “e tra i Maloumines” (Menominee). A partire dai primi mesi del 1660, gli Ottawa erano localizzati a “Point Chagouamigon” e su un’isola posta presso la riva meridionale del Lago Superiore (Relazione del 1661). Gli Huron, nello stesso periodo, si sarebbero tenuti nascosti presso le sorgenti del Black River, “a sei giorni di viaggio dal lago stesso, e a sette giorni di viaggio dalla baia dei Puans” (Relazione del 1660). Nel 1659 le due tribù sarebbero state visitate da due commercianti francesi che, spintisi a ovest, avrebbero anche raggiunto gli insediamenti dei Sioux. Quindi, tra gli anni 1657 e 1660 hanno avuto luogo gli eventi presentatici dal Perrot. Gli Huron, secondo una “Relazione” del 1663, occupavano ancora la stessa posizione verso la fine del 1661, ma non fu certamente una posizione che mantennero per parecchio tempo. Stando ad una “Relazione” del 1667, nell’anno 1665, padre Allouez avrebbe incontrato le due tribù riunite nelle vicinanze di “Point Chagouamigon”. Quattro anni dopo, stando ad una “Relazione” del 1667, “i selvaggi di Chagouamigon” erano censiti in circa 1.500 anime, dei quali circa 500 erano “Huron cristiani della tribù del Tabacco”, mentre il resto era composto da “Uroni pagani e Algonchini al loro seguito” appartenenti ai gruppi Ottawa dei “Sinagaux, Kiskakon e Keinouche”. Quel che sembra accertato è che gli Huron non erano disposti a mantenere la pace, così inviarono parecchie spedizioni di guerra contro i Sioux, spedizioni che ebbero soltanto limitati successi e che, inoltre, attirarono l’odio dei Sioux nei loro confronti. Le frequenti incursioni dei Sioux avrebbero costretto gli Huron e gli Ottawa ad evacuare il loro villaggio fortificato per riunirsi agli Ottawa di “Chagouamikon”. Furiosi e imbestialiti, decisero di organizzare una nuova spedizione composta da almeno un centinaio di guerrieri, era loro intenzione vendicarsi. Dobbiamo osservare che il paese dei Sioux era costituito da piccoli laghi e paludi “piene di avena selvatica”, e separati tra loro da “strette lingue di terra che si estendono da un lago all’altro, non più di trenta o quaranta passi al massimo e, a volte, cinque, sei o poco più”. Questi laghi, e queste paludi, formano “un tratto di terra superiore alle cinquanta leghe quadrate” e non sono attraversate da fiumi, “salvo dal Mississippi della Louisianna”. Nel territorio del St. Croix “che si trova a nord-est di loro, entrano altre acque, mentre altri laghi e paludi si trovano a ovest del fiume St. Pierre Peter”, di conseguenza “i Scioux sono inaccessibili nelle terre paludose del loro paese e non possono essere distrutti da nemici che non hanno canoe”.
Guerriero Huron
Inoltre, “in questi quartieri soltanto cinque o sei famiglie vivono insieme come un solo corpo, formando un piccolo villaggio posto a determinate distanze dagli altri, ma in modo da essere abbastanza vicini e in grado di dare una mano al primo allarme”. Poi continuava, “Se uno di questi piccoli villaggi viene attaccato, il nemico può infliggere danni limitati per la tribù, e tutti i vicini si riuniscono immediatamente per contrattaccare”; “i loro metodi di navigazione in questi laghi permettevano loro di attaccare portandosi da un lago all’altro, costringendo i nemici a fuggire e a confondersi per poi eliminarli”. Gli Huron vagarono nelle paludi e, “senza canoe”, vennero poi intercettati dai Sioux i quali dettero l’allarme a tutti i villaggi. Erano “un popolo numeroso disseminato lungo tutti bordi delle paludi”, “più di tremila Scioux si erano riuniti da ogni parte per assediare gli Uroni”, “il forte clamore e le urla che risuonavano nell’aria indicava che erano circondati da tutti i lati e che la loro unica risorsa era ormai quella di nascondersi tra l’avena selvatica, dove l’acqua e il fango raggiungeva il loro mento”. Così gli Huron si dispersero in varie direzioni per evitare di farsi intercettare. I Sioux “erano alla ricerca dei nemici, volevano scontrarsi con loro in battaglia, ne scovarono ben pochi e si resero conto che si erano nascosti nelle paludi, ma restarono stupiti nel vedere una pista che conduceva fuori dal lago, ma nessuna traccia dell’ingresso degli Uroni”. Comunque, i nemici riuscirono a fuggire, mentre i Sioux “divisero le loro forze” e si misero alla loro ricerca l’operazione riuscì perfettamente e molti Huron vennero uccisi o catturati dai “Scioux in agguato”. Questa disastrosa spedizione sarebbe avvenuta dopo l’arrivo degli Huron a Chagouamigon, di conseguenza non si sarebbe verificata prima del 1662 e sicuramente avvenne prima della visita del capo dei “Sinagaux” – un ramo degli Ottawa – ai villaggi dei Sioux (1665 o 1666). E’ quindi molto probabile che la sconfitta degli Huron sia avvenuta nel 1662 o l’anno successivo. I prigionieri vennero condotti al villaggio più vicino, i Sioux si riunirono “al fine di condividere tra loro le prede”, solo allora vennero a conoscenza dello stratagemma degli Huron, i quali, “per buttare fuori pista i Scioux che li cercavano, erano entrati nei laghi camminando all’indietro, lasciando così soltanto le tracce della loro partenza”.
Ancora un guerriero Huron
I Sioux “sono furbi come tutte le altre tribù, ma non sono come loro perché non sono cannibali”, “non mangiano cani e neppure carne umana, e non sono nemmeno crudeli come gli altri selvaggi perché non mettono a morte i prigionieri, tranne quando la loro gente viene bruciata dal nemico”. Erano indiani “indulgenti perché rimandavano a casa la maggior parte dei prigionieri”, ma le “le loro usuali torture le infliggono a coloro che hanno condannato a morte, questi vengono fissati agli alberi, o a dei pali, e poi i loro ragazzi scagliano frecce contro di loro, né i guerrieri, né gli uomini, né le donne partecipano a tutto questo”. Purtroppo, parecchie “Relazioni” sembrano indicarci che “i selvaggi canadesi” erano abitualmente dediti al cannibalismo ma, in realtà, era praticato solo occasionalmente e con motivazioni sicuramente diverse da quelle dei cannibali veri e propri. Le accuse di cannibalismo portate dal Perrot sono sicuramente fondate, ma un punto è degno di nota, ovvero il contrasto esistente in questi periodi tra quasi tutte le popolazioni della regione del Mississippi e delle altre terre fino al Messico. Come abbiamo visto i Sioux si mostrarono ragionevoli e dotati di grande umanità verso i prigionieri di guerra, ma altre popolazioni si comportavano ben diversamente. Comunque, molti prigionieri Huron sarebbero stati liberati, mentre altri vennero uccisi a colpi di tomahawk e di frecce, e i “loro corpi gettati nel letame”; gli Huron “risparmiati furono condannati a vedere i loro compagni morire, poi sono stati mandati a casa”, il Perrot continuava dicendo che, “Arrivati a casa dettero un fedele resoconto sui fatti che si verificarono, e dissero che, dopo aver visto il gran numero dei Scioux, era impossibile distruggerli”. Gli Ottawa “ascoltarono con molta attenzione i rapporti di questi nuovi arrivati ma, in quanto non erano guerrieri molto coraggiosi, decisero di interrompere le ostilità”, mentre gli Huron, “riconoscendo l’esiguità del loro numero, decisero di non meditare vendetta, ma di vivere in pace a Chagouamikon”.
Guerriero Sioux
Per molto anni vissero in pace e “non sono stati molestati dai Scioux, impegnati a far la guerra contro i Kiristinons, gli Assiniboines e tutte le altre nazioni del nord”. Sappiamo ben poco di queste guerre, e il Perrot non ci viene in aiuto, soltanto padre Menard diceva che, “I Scioux, non solo quelli che viaggiano in canoa, ma anche quelli delle pianure, distrussero i loro nemici, ma ebbero notevoli perdite e si ridussero quasi a nulla”. Gli Ottawa di Chagouamikon si dedicarono alla coltivazione del mais e delle zucche, si dedicarono alla pesca e “incontrarono nella zona i Salteaurs che erano fuggiti verso nord”, sotto la spinta degli Irochesi. Alcuni gruppi “Salteaurs” si spostarono verso “Kionconan Keweenaw” dove riferirono di “aver visto molte tribù in una terra ricca di castori”, molti di questi indiani “avevano lasciato il loro popolo a nord, ora avevano intenzione di stabilirsi qui senza fissa dimora, proponendosi di spostarsi in tutte le direzioni”. Nello stesso periodo “i Nepissing e gli Amikouet erano ad Alimibegon”. Gli Ottawa si spinsero allora verso nord per commerciare con le tribù del territorio, avrebbero ottenuto splendide pelli di castoro; poi, l’anno successivo (1663), si dedicarono alla caccia di uccelli acquatici pur non dimenticando di portare avanti i loro commerci. Nel frattempo, altre tribù stavano spingendosi a sud per raggiungere Quebec, “ma avevano paura di incontrare i nemici Iroquois, tanto temuti e in grado di tendere agguati ovunque”. I nemici erano effettivamente in azione, erano appostati nelle zone di “Cape Massacre”, proprio a sud di Saint Ours; nel territorio vi erano “16 Iroquois che stavano portando via una canoa degli Algonkin”. La flottiglia di canoe degli Ottawa non aveva nessuna intenzione di scontrarsi con il nemico, “gli Outaouas furono sul punto di tornare a casa abbandonando il proprio carico di pellicce e i rifornimenti che i francesi avevano dato loro”. Al loro arrivo a Quebec “il capo degli Outaouas venne imprigionato con i ferri ai piedi, veniva accusato di aver abbandonato un missionario lungo la strada”; gli indiani non concordavano assolutamente e chiedevano la sua liberazione, “tutto il suo popolo dette regali di grande valore e i francesi dovettero liberarlo per poi dedicarsi ai commerci”. Gli Ottawa ritornarono poi al loro villaggio con due francesi; sarebbero ritornati soltanto due anni dopo per “ottenere gli articoli di cui avevano bisogno”. Al “Portage de Calumets” entrarono in contatto con un gruppo di guerra irochese, il quale “aveva costruito una miserabile fortezza di pali, che poteva essere abbattuta con le mani se gli Outaouas avessero avuto il coraggio di attaccare…


Indiani Assiniboin

Il loro unico sforzo fu quello di abbattere alcuni alberi sopra il forte, l’azione non ebbe successo ed allora attaccarono violentemente”. La postazione venne comunque assediata “per cinque giorni”, gli Irochesi resistettero valorosamente, poi, chiesero di parlamentare e invitarono gli Ottawa “a continuare il loro viaggio tranquillamente”; gli Irochesi si dissero disposti a non inseguirli, “ma non bisognava fidarsi”. Quando “gli Iroquois si avvicinarono alle canoe, gli Outaouas tentarono di gettare sulla riva le mercanzie dei francesi che erano imbarcate con loro”, allora questi invitarono gli Ottawa a non “far nulla del genere”, alla fine gli indiani furono convinti “a scendere a Three Rivers”, dove vi erano parecchie missioni per gli Huron che erano stati radunati da padre Ragueneau (Relazione del 1650). Però, né la “Relazione” del 1650, né il Charlevoix fanno menzione del Ragueneau e dei suoi Huron portati nel Quebec, soltanto il Perrot ci ha conservato questo evento importante. Comunque, un missionario francese sarebbe stato maltrattato su un isola del fiume dal capo algonchino chiamato “Le Borgne”. Il fiume “Creuse” era uno dei numerosi affluenti dell’Ottawa River, e “un po’ sotto la sua bocca si incontra l’isola di Allumettes”, chiamata anche “Le Borgne Island”, ancora “più in basso vi era l’isola di Grand Calumet” e poi “le rapide e il portage” con lo stesso nome. Quindi, tra il fiume “Creuse” e la “Calumet” vi era una grande isola comunemente chiamata “Isle du Borgne”, ma anche conosciuta come “Isle de Allumettes”. La “Isle du Borgne” prendeva il nome da un potente capo degli Algonkin, un leader con un occhio solo che aveva “sotto il suo comando 400 guerrieri, ed era considerato il terrore di tutti i popoli, anche degli Iroquois”. Questo capo “esigeva pedaggi da tutti i viaggiatori che scendevano alla colonia francese”, era lui che “dava il permesso di passare da quel posto, e senza il suo permesso non permetteva a nessuno di andare oltre”. Quando gli Huron raggiunsero la parte settentrionale dell’isola, “avevano intenzione di passare dal villaggio, secondo consuetudine, per chiedere il permesso al capo”, ma padre Allemand disse loro che i francesi erano “i padroni del paese e che non erano tenuti a farlo”, così li persuase a seguire un piccolo canale.


Una scena di pesca

Il Le Borgne venne subito informato e inviò “tutti i suoi guerrieri” per portare gli Huron al villaggio, questi dissero che era stato padre Allemand ad “impedire di chiedere il permesso, facendo loro credere che i francesi erano i padroni delle nazioni”. Il missionario venne subito catturato e “appeso ad un albero per un braccio”, gli Algonkin, “infuriati”, gli dissero che “i francesi non erano i padroni del loro paese, e che riconoscevano soltanto il loro capo”. La situazione si sarebbe risolta soltanto l’anno successivo.
Comunque, gli Ottawa, e le altre tribù, “vissero pacificamente in quel paese in cui si erano rifugiati per sfuggire ai Scioux” ma, “un giorno, una spedizione Iroquois giunse a Sault-Sainte-Marie” (1662), “erano sicuri che, dopo aver portato il terrore tra tutti gli altri selvaggi che avevano cacciato dalle loro terre di origine, erano ancora temuti al loro apparire”. Gli Irochesi, circa un centinaio, si spinsero a “nord di Sault-Saint-Marie e si accamparono presso il lago Superiore, cinque leghe o giù di lì dalle rapide”; la spedizione “aveva intenzione di combattere” e così gli Irochesi, “scorgendo fuochi di accampamenti sulle alte colline a nord”, inviarono esploratori “in quelle direzioni”. Più a nord vi erano gruppi di indiani “Salteurs, Outaouas, Nepissings e Amikouets” che “avevano lasciato i loro villaggi per cacciare le alci nelle zone di Sault, e per pescare il grande pesce bianco o i salmoni che sono abbondanti nelle acque bollenti di quelle rapide”. Gli indiani cacciavano tranquillamente, quando uno di loro “avvistò il fumo del campo degli Iroquois”, allora si radunarono, erano “almeno cento uomini” che elessero “capo un guerriero Salteur”, il quale aveva “grande conoscenza del territorio, avendovi vissuto prima della guerra con gli Iroquois”.


Guerrieri Irochesi

I guerrieri si prepararono allo scontro e il capo inviò subito alcuni guerrieri in ricognizione scendendo un fiume in canoa. I Salteurs, e i loro alleati, si mossero velocemente, volevano sorprendere gli Irochesi, “una foresta molto fitta li favoriva e così poterono avvistare il campo nemico e contare i loro guerrieri e le donne che avevano al seguito”. Gli esploratori sarebbero poi ritornati al loro accampamento per segnalare la presenza nemica e la loro consistenza numerica, “immediatamente procedettero per tutta la notte, ma senza riuscire a raggiungere il luogo dove erano accampati gli Iroquois; vi era una nebbia molto fitta e non vennero scoperti”. I Salteurs, e i loro alleati, raggiunsero “una piccola insenatura, abbastanza profonda, il cui capo stava proprio dietro al campo degli Iroquois”, fu allora che decisero di attaccare all’apparire dell’alba; “durante la notte fecero i primi approcci e si appostarono su una piccola ma ripida riva di terra, alta circa 5-6 metri, alla base della quale vi erano le tende degli Iroquois, che stavano dormendo tranquillamente”. I cani dell’accampamento fiutarono il pericolo, allora i Salteurs “gettarono della carne per impedire loro di abbaiare”, poi, alle prime luci del giorno, “attaccarono con il consueto grido di guerra”, gli Irochesi “si svegliarono e si affrettarono a prendere le armi, ma furono trafitti dai colpi sparati contro di loro da ogni parte”, un “grande numero di frecce si riversava su di loro”. Gli assalitori entravano nelle tende e massacravano gli Irochesi con il “tomahawk” e con i coltelli, ma alcuni giovani guerrieri si ritirarono e fuggirono verso le loro canoe, mentre “i più anziani continuavano a combattere e ogni volta che urlavano avevano ucciso un nemico”.


Un guerriero Huron col suo moschetto

Gli Irochesi che cercavano di fuggire verso le rive del lago “venivano ferocemente assaliti proprio mentre i giovani Salteurs riacquistavano il loro coraggio sentendo le grida di vittoria dei più anziani”, allora “si precipitarono con veemenza sugli Iroquois”, “finito il massacro, nessuno dei nemici era riuscito a fuggire”. Gli scouts irochesi, che erano stati inviati in perlustrazione, sarebbero ritornati al campo qualche giorno dopo, trovarono “solo cadaveri senza testa e le ossa di quelli cui la carne era stata mangiata”. Da quel momento, “si dice che gli Iroquois non ebbero più il coraggio di entrare nel paese del lago Superiore”, ma in verità, “non posero mai alcun limite alle loro operazioni di guerra e, come spietati mangiatori di uomini, hanno sempre avuto il piacere di bere il sangue e mangiare la carne di tutte le altre tribù”. Dopo la grande vittoria, i Salteurs, e i loro alleati, rientrarono trionfalmente a Kinconan e Chagouamikon; qui, le tribù vissero in pace ma, “qualche guerriero Huron organizzò una spedizione di caccia fin sui confini delle terre dei Scioux”. Nello stesso periodo i Salteurs continuavano a festeggiare la vittoria sugli Irochesi che, secondo una Relazione del 1663, erano composti da guerrieri “Agniers e Onneiouths” (Mohawk e Oneida). Gli Huron spintisi a ovest, viaggiarono per circa “50-60 leghe”, entrarono nelle terre dei Sioux, e catturarono alcuni prigionieri che poi deportarono ai villaggi dei Salteurs, i quali si dichiararono contrari ad ucciderli. I prigionieri vennero “accolti molto cordialmente e furono soprattutto gli Outaouas a caricarli di regali”, i quali, stando al Perrot, “se non fosse stato per gli Outaouas i prigionieri sarebbero stati bruciati vivi”. La liberazione dei Sioux avvenne ben presto e Sinagos, il capo degli Ottawa, con quattro francesi, li avrebbe accompagnati fin nelle loro terre. Grandi onori “vennero riservati per il capo Sinagos, il quale dovette fumare il calumet con i capi Scioux”. Il Perrot continuava, “Ho appena detto che i Scioux fumarono il calumet con Sinagos, la cerimonia si tenne nei loro villaggi con grande solennità”, erano presenti tutti i capi, i quali dettero il loro consenso ad una “pace inviolabile”.


Sioux in cerca di tracce

Dopo la cerimonia Sinagos, “con il suo popolo e i francesi che erano andati con lui”, fecero ritorno a Chagouamikon; il capo aveva assicurato i Sioux che li avrebbe visitati nuovamente l’anno successivo. Però, il Sinagos non si sarebbe presentato l’anno successivo, e neppure “nel secondo anno”, i Sioux “non sapevano perché aveva rotto la sua promessa”. Negli anni 1669-70 alcuni cacciatori Huron si spinsero nelle terre dei Sioux, dove “sono stati catturati da alcuni giovani di quella nazione e portati al loro villaggio”, il capo era uno di quelli che “aveva fumato il calumet con Sinagos… fu molto irritato nel vedere questi prigionieri, ed allora li prese sotto la sua protezione”, questo fatto avrebbe potuto “causare una nuova guerra”. Il capo avrebbe rimesso in libertà i prigionieri e, il giorno dopo, inviò un emissario a Chagouamikon al fine di “assicurare gli Huron che i Scioux non avevano alcuna colpa nell’accaduto, l’attacco era stato portato da alcuni giovani guerrieri che non erano neppure della sua tribù”. L’emissario doveva assicurare “la sincerità del capo Scioux”, ma tardò a rientrare in patria e allora, il capo Sioux, “che aveva fumato il calumet con Sinagos” si mise in viaggio con i prigionieri Huron, quattro Sioux e una donna, “ma quando arrivarono vicino a Chagouamikon gli Huron lo abbandonarono e, dopo aver raggiunto i loro amici, dichiararono che erano appena sfuggiti alla morte”. Stando al Perrot, “il capo Scioux era molto sorpreso”, tuttavia, non si perse d’animo e “continuò per la sua strada, giungendo al villaggio il giorno stesso”; “non osando andare tra gli Uroni, di cui diffidava, entrò nella capanna di Sinagos”, il quale, “con tutti gli Outaouas” lo accolsero amichevolmente.


Michilimackinac

Il capo spiegò a Sinagos di aver messo in libertà gli Huron, ma questi, “i più infidi fra tutte le tribù selvagge”, cercarono di convincere Sinagos a consegnargli il capo Sioux, “in cambio davano grandi regali agli Outaouas”. Sinagos accettò e i Sioux vennero brutalmente “uccisi e mangiati”. Qualche tempo dopo gli Ottawa e gli Huron abbandonarono i loro villaggi per spostarsi nelle zone di “Michillimackinak e Manitoaletz” (1670-71); poi, l’anno successivo “scesero a Montreal” per commerciare pellicce, in cambio vollero “soltanto armi e munizioni”, loro intenzione era quella di “marciare contro i Scioux, costruire un forte nel loro paese e portare loro guerra durante tutto l’inverno”. Dopo la spedizione commerciale, gli Ottawa e gli Huron “tornarono a casa, raccolsero in fretta i loro cereali e marciarono contro i Scioux”. Le loro forze sarebbero aumentate lungo tutto il percorso; Sinagos era affiancato da un suo cognato, il capo dei Sakis, “che vivevano presso la baia”, questi aveva con sé anche guerrieri “Pouteouatamis e Renards, suoi alleati”. L’intero gruppo guerriero sarebbe stato composto, stando al Perrot, “di oltre un migliaio di uomini, provvisti di armi e scorte di munizioni”. Entrati nelle terre dei Sioux, attaccarono alcuni piccoli villaggi, li distrussero e, “mettendo in fuga gli uomini, portarono via le donne e i bambini”. Il terrore correva nelle foreste e nelle paludi del Minnesota, ma i Sioux non si persero d’animo e quando “l’allarme raggiunse i villaggi vicini, i guerrieri si affrettarono a buttarsi sui loro nemici, li attaccarono vigorosamente e li obbligarono alla fuga e ad abbandonare il forte ancora in costruzione”. I “Scioux li inseguirono senza tregua e li uccisero in gran numero, il terrore fu così travolgente che durante la fuga gettarono via anche le armi, perdettero tutti i loro averi e alcuni di loro perdettero anche la miserabile pelle di daino che avevano addosso.


Un guerriero Wyandot

In poche parole, morirono quasi tutti a causa dei combattimenti, della fame e del rigore del clima”. I circa 140 guerrieri “Renards, Kiskaouets e Pouteouatamis” appartenevano a “tribù meno abituate alla guerra degli altri” subirono perdite limitate in quanto “se la dettero a gambe agli inizi degli scontri”. Gli Huron, i Sinagos e i Sakis “si sono invece distinti per la coraggiosa resistenza che opposero”; alla fine, fuggirono precipitosamente, “il disordine era in mezzo a loro, ed era così grande che si mangiavano l’un l’altro” (1671-72). I due capi della spedizione caddero in mano ai Sioux, “e Sinagos venne riconosciuto come l’uomo che aveva fumato il calumet”; Sinagos “venne rimproverato per la sua perfidia e per aver mangiato proprio l’uomo che lo aveva adottato nella sua nazione”. Sinagos venne costretto a parlare e quando iniziò i Sioux inorridirono, il capo Ottawa disse che, “non volendo bruciare il Scioux, e i suoi compagni, decisero di mangiarli in segno di disprezzo”, gli “tagliarono pezzi di carne dalle sue cosce e da altre parti del corpo, poi le misero alla griglia e dettero da mangiare a tutti gli indiani”. Sinagos ricordava che “non aveva mai mangiato tanta carne umana” e i Sioux ne restarono allibiti, così, visto che aveva mangiato tanta carne umana, “ora si poteva saziare con i suoi bisogni”; la stessa sorte sarebbe toccata anche a suo cognato e agli altri prigionieri, “e questo fu tutto il nutrimento che ricevettero fino alla morte”. I Sioux, non contenti, misero a morte tutti i prigionieri, “sono stati tutti colpiti con le frecce ad eccezione di un Panys (Pawnee) che apparteneva al capo di quei selvaggi, il quale fu rimandato al suo paese in modo da poter riferire ciò che aveva visto”. Il Perrot non sembra molto chiaro nel datare questo evento importante ma, due ragioni inducono a credere che i Sioux abbiano raggiunto Chagouamigon nel 1665-66, infatti, stando ad una “Relazione” del 1667, un anno prima alcuni Sioux avrebbero visitato Point de Saint-Esprit.

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